La geologia del Monte Peller

Oltre che per il paesaggio da favola, il Monte Peller (Dolomiti di Brenta, q. 2320 mslm) attira numerosi visitatori e studiosi da tutta Europa per le notevoli particolarità geologiche, geomorfologiche e paleontologiche rilevabili in tutta la zona. Il monte Peller costituisce le propaggini più settentrionali del Gruppo delle Dolomiti di Brenta, importante sistema montuoso che con le sue vette aguzze, le creste ed i numerosi ghiacciai (“vedrette”) caratterizza tutta la porzione occidentale del Trentino.

Le origini geologiche del Peller

Le rocce calcaree che costituiscono il Monte Peller si sono originate in un periodo compreso tra 220 e 70 milioni di anni fa (Triassico-Giurassico-Cretaceo) come conseguenza della lenta deposizione sul fondale marino degli sceletri calcarei di microscopici organismi planctonici.
Successivamente, a partire da 60 fino a circa 8 milioni di anni fa, la Terra è stata interessata da intensi fenomeni tettonici dovuti alla progressiva rottura dell’unico continente allora esistente (la Pangea), il quale inglobava tutte le terre emerse sopra un’unica grande placca.
In particolare nell’area euro-asiatica, immense spinte tettoniche dirette prevalentemente da sud verso nord, hanno causato prima la deformazione e successivamente la rottura della crosta terrestre, originando un appilamento in falde (frammenti di crosta) sovrapposte le une sopra le altre; in questo modo si sono formate la maggior parte delle più spettacolari catene montuose euro-asiatiche, orientate prevalentemente in direzione est-ovest (Himalaya, Carpazi, Alpi, Pirenei).

Le rocce

Dal punto di vista litostratigrafico il Monte Peller poggia su un basamento costituito da rocce calcareo-dolomitiche di origine tipicamente marina, risalenti al periodo Triassico e Giurassico (da 225 a 135 milioni di anni fa) sulle quali si sono deposte rocce calcareo-marnose più recenti (anch’esse sedimentarie e di origine marina) appartenenti alla “Formazione della Scaglia Rossa” (Cretaceo – ca. 70 milioni di anni fa).
La Scaglia Rossa (roccia costituente il Monte Peller) presenta una caratteristica colorazione rosata e al contrario delle soggiacenti rocce calcareo-dolomitiche compatte, si presenta molto degradabile e facilmente erodibile sotto l’azione degli agenti atmosferici (gelo-disgelo, precipitazioni, vento). Tutti i versanti del Monte Peller sono quindi coperti e circondati da abbondante “detrito di falda” che testimonia appunto l’estrema erodibilità di questa formazione rocciosa.

Il Pian della Nana è stato per anni ideale “palestra” per l’osservazione di fenomeni geologici altrove non apprezzabili con la stessa chiarezza.
Le pareti rocciose del versante nord del Monte Peller osservabili dall’omonimo rifugio o quelle del Pallon visibili dal Passo della Forcola mostrano chiaramente la roccia rossastra fittamente stratificata (Scaglia Rossa) con porzioni localmente delimitate da discontinuità e caratterizzate da strati scompaginati e ripiegati. Sono il segno di antichi scivolamenti in mare profondo (“slumping”) di quei fini sedimenti non ancora consolidati che oggi compongono la Scaglia Rossa. Discontinuità nella stratificazione dovute a franamenti sottomarini ben più consistenti si possono osservare dal passo della Forcola guardando in direzione est. La parete nord di Cima Vallina presenta chiaramente la nicchia di distacco di un’antica frana sottomarina risalente al Cretaceo che ha interessato le chiare rocce carbonatiche giurassiche già solidificate. La discontinuità, che appare leggermente inclinata, è colmata da strati orizzontali di Scaglia Rossa, che si sono deposti quando ancora non erano consolidati. L’ultima di queste discontinuità, forse la più appariscente, si trova al di là del Pian della Nana, sul versante orografico sinistro della Val Madris, lungo il sentiero che da Malga Tuena sale verso Passo Pracastron. Anche qui è evidente la nicchia di distacco di una frana sottomarina prodottasi entro le massicce pareti di calcari giurassici, con i fitti strati di Scaglia Rossa che in seguito, durante il Cretaceo, hanno colmato la nicchia di distacco.

Le forme glaciali del Pian della Nana

Il vasto anfiteatro della Val Nana si estende a sud delle pendici del Monte Peller e costituisce una testimonianza tangibile della presenza e dell’azione esaratrice e modellatrice dei ghiacciai, scomparsi da qui circa 12.000 anni fa.
Tuttora se ne possono riscontrare tracce più o meno evidenti: dai “cordoni morenici”, (accumuli di materiale detritico depositati dal ghiacciaio lungo i suoi fianchi), ai “dossi montonati”, forme di erosione risultato dell’azione abrasiva del ghiacciaio che scorreva lentamente sopra le rocce. Questi ultimi si presentano solitamente come dossi di roccia levigata dalla caratteristica forma a "dorso di mulo".

Le forme carsiche

Poiché il substrato roccioso del Pian della Nana è costituito interamente da rocce calcaree, le forme carsiche, dovute alla dissoluzione del calcare ad opera dell’acqua piovana leggermente acida, sono comuni in questa località.
Le più tipiche morfologie carsiche della zona sono i numerosi campi solcati o carreggiati (karrenfeld), le conche (doline) ed anche alcune forme sotterranee (non molto sviluppate) quali piccole grotte e fratture che danno vita ad una fitta rete di circolazione idrica sotteranea. Tra le microforme visibili sulle superfici delle rocce calcaree del Pian della Nana ricordiamo i "rinnenkarren", fitte scanalature nella roccia più o meno accentuate (foto 3 e 4).

I fossili del Castellazzo

Il Monte Peller ed in particolare il sottastante Pian della Nana sono rinomati anche dal punto di vista paleontologico. Un’interessante giacimento fossilifero si trova poco a sud del rilievo del Castellazzo, alla testata della Val Formiga, particolarmente ricco di “Ammoniti” e “Brachiopodi”.
I fossili sono inglobati nel “Rosso Ammonitico”, un calcare nodulare di colore rosato, con una certa frazione argillosa, inglobante spesso numerosi noduli selciferi.
Le Ammoniti, che si sono estinte oltre 120 milioni di anni fa, appartenevano alla classe dei “cefalopodi” di cui fanno parte attualmente polpi, seppie e calamari; al giorno d’oggi il parente più prossimo delle antiche Ammoniti è il Nautilus, avente una conchiglia concamerata e considerato non a torto un “fossile vivente”.
Le Ammoniti si sono evolute nel tempo in maniera molto veloce e con forme talmente diverse nelle varie epoche geologiche, che i loro gusci fossilizzati permettono di datare con molta precisione molti sedimenti marini risalenti ad epoche diverse. I gusci e le impronte delle Ammoniti si rinvengono in sedimenti che suggeriscono inoltre ambienti marini tra loro diversi, ma che comunemente denotano una certa profondità del mare, quale doveva essere quella ove è sedimentato il Rosso Ammonitico.

 

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